giovedì 28 aprile 2011


Quante volte si gioca!
Con le carte, o con i sentimenti, per alcuni non c'è molta differeza. Certe volte a viso scoperto e, molto più spesso, nascondendosi all'altro.
Certe volte ci si concentra fino allo sfinimento per poter battere l'avversario e tante altre lo si lascia vincere, solo per vederlo sorridere.
E per i giorni in cui la fortuna gira dalla propria ce ne sono altrettanti in cui proprio non ne vuol sapere di dare una mano. E quando si pensa di avere in pugno la vittoria, basta un colpo di mano e ci si ritrova battuti, vinti, umiliati...
Quante volte si è riso su un tris uscito al primo colpo, quante volte si è pianto su un tris sfuggito all'ultima carta...
Quante volte io, quante volte tuu...
Ma "è bello il gioco che dura poco"... Evvero, un gioco, anche il più bello, prima o poi finisce... perchè qualcuno vince, perchè qualcun'altro perde, perchè ci si stanca...
O, forse perchè qualcuno cambia le regole senza che l'altro lo sappia o, peggio, perchè bara, si nasconde, imbroglia le carte e...
E, quando succede così, non sempre si ha la forza di arrabbiarsi e, come fa un bambino ferito, rompere il poprio giocattolo e urlare in lacrime io-non-gioco-più... Capita invece che, semplicemente, ci si stanchi di un gioco in cui non si conosce il pensiero dell'altro, del quale non si sanno più le regole, in cui non si sa come si vince, chi vince e come...
Allora si lascia il tavolo, le fiches vinte e quelle ancora da giocare, si raccolgono le proprie cose e ci si incammina via, lontano...
Perchè giocare è bello, è bello gioire per una vittoria ed è bello anche rimanere male per aver perso... Ma soprattutto è bella la lealtà del gioco... è bello il coraggio delle proprie possibilità... è bello puntare tutto quello che si ha sapendo che l'avversario potrà vincere, ma non ti saprà mai umiliare... è bello sapere che puoi vincere e che consolerai l'altro con un bacio...
Questo è il gioco a cui voglio giocare e per il quale non mi tiro indietro...
Di altri "giochetti" non voglio far più parte ed è per questo che ho chiuso la "porta"...
Ma sul mio tavolo c'è sempre un mazzo di carte pronto e un ciotola di pistacchi... basta solo buttar via le maschere, guardarsi nel cuore, mischiare le carte, darne 13 a testa, sorridere e ricominciare da lì...

mercoledì 27 aprile 2011

Il giorno dei giorni


Pensare a un giorno che sorge, che nasce piano infilandosi nella fessura di una finestra sul tetto, che si stiracchia di sbadigli raggianti, con la voglia di rimanere ancora attaccato ad una notte infinita...
Pensare alla promessa che quel giorno porta con sè, all'attesa trepidante delle ore che lo comporranno e al timore che quelle ore possano scappare via troppo in fretta...
E poi sentire il tuono, il fragore immenso di tempesta, il rombo sordo di terremoto, vedere lo scintillio sinistro di mille coltelli taglienti... Avvertire il capovolgersi dell'ordine delle cose, dell'universo, delle stagioni e delle maree... Vedere il proprio corpo catapultato oltre la ragione, verso la follia e verso il desiderio di non essere più...
Sperare che quel giorno finisca e realizzare invece che, nonostante l'avvicendarsi continuo del sole e della luna, quel giorno sarà destinato a non finire mai...
Assistere come anestetizzata al passaggio di 10... 100... e molti altri giorni ancora, fino a che quel giorno è tornato a ripassare di nuovo per di qua ...e stupirsi di come sia stato possibile, se si pensava di non riuscire a respirare nemmeno per un secondo...
E invece respirare è facile, così come mangiare, dormire, ridere, lavorare, parlare, ascoltare... Quello che è difficile, che è impossibile, è vivere...
Vivere, quando sai che sei cristallizzata nel tempo, quando quel giorno non si spegne mai, quando sai che la sera di quel giorno non arriverà... perchè "di sera si ritorna sempre"...mentre "noi" non ritorneremo più...

lunedì 25 aprile 2011

Un giorno liquido


Che ci sono dei giorni dell'anno - pochi, per fortuna - che per me, proprio non dovrebbero arrivare. Ci vorrebbe uno di quei calendari magici che, a comando, saltano i numeri e i lunedì... Già, perchè uno di quei giorni è proprio un lunedì...questo lunedì...
Un lunedì di festa, di uscite, di divertimenti ad ogni costo, di scampagnate, di smontagnate, di jeans e scarpette da ginnastica, di guide turistiche per improbabili itinerari, di appuntamenti alla mattina presto che-sennò-ci-prendono-i-posti-migliori...
Già di per sè, questo giorno è relegato in qualche carpetta del mio schedario personale su cui ci sta scritto "archiviato", per cui non è più consultabile, nè rivedibile...se poi ci aggiungo anche un leggero quanto fastidioso senso di nausea, un desiderio di digerselz simile a quello che si ha quando non si digerisce bene qualcosa, qualcosa che è rimasto proprio nello spazio tra gola e stomaco e fa fatica ad andare giù per via del suo sapore di ipocrisia e falsità, allora questo lunedì potrebbe, anche a mio solo uso e consumo, sparire dal datario.
Se poi, non contenta, considero anche che la giornata di oggi è liquida e opaca, piena di colpi di vento e pioggia di sabbia, una giornata che ti bagna e ti asciuga ripetutamente l'anima, lasciandola, per-di-più, piena di gocce di polvere rossa, allora non-ce-la-si-può-fare ... proprio no!
E penso al mio cesto da pcinic, con i piatti più belli, la tovaglia a quadretti blu, e tutte le cose buone e belle pronte da un tempo che si trascina da sempre, pronte per una colazione sull'erba che mai ci sarà, pronte per le troppe pasquette mancate, mancate come le promesse di chi non sa mantenerle, mancate come le parole che non hanno senso, ma che rompono dighe, provocando alluvioni...
La pioggia trascini questo giorno nei rivoli delle strade, nei rigagnoli sotto i marciapiedi, nel lucido mantello che copre il mondo... lo dissolva, lo sciolga come si fa con una compressa effervescente in un bicchiere d'acqua, così che non ne resti niente, come niente è rimasto di tutto.

martedì 19 aprile 2011

Il nome delle cose


E se le cose fossero esattamente quelle che sembrano?
Già, perchè spesse volte noi anime romantiche ci serviamo di complicatissimi quanto improbabili elaborazioni di pensieri per nascondere a noi stesse delle verità che sono tragicamente semplici nella lora evidenza.
Perchè ci ostiniamo a dare ad ogni cosa una spiegazione che risponde ad aspettative che esistono solo nella nostra mente e, molto più spesso, nel nostro cuore?
E così, nello spazio infinito della nostra immaginazione, un silenzio diventa un discorso interminabile che immaginiamo senza voce solo perchè non si ha abbastanza coraggio per dargliene... Una parola, messa lì da qualche parte, diventa tutto un poema che vuole dirci le esatte parole di cui avremmo bisogno, ma che in realtà, non esistono... Ed una assenza altro non è che la preparazione attenta di un nuovo incontro...
Povere illuse noi... pronte a sferzare a colpi di frustino la nostra fantasia per poter dare alle cose la veste che più ci piace, oppure, per la verità, quella che meno ci fa male...
A dirla tutta, invece, un silenzio è solo la mancanza di cose da dire... Una parola è solo l'espressione temporanea di un gioco crudele... L'assenza è solo voglia di non esserci...
Eh, sì... è dura imparare a ridare alle cose il loro giusto nome...
Il niente è proprio...niente...

venerdì 8 aprile 2011

Dal parrucchiere


Oggi giornata di parrucchiere e quindi, giornata di coccole. E già, quando si va dal parrucchiere ci si sente un pò importanti, no? Specialmente per chi, come la scrivente, non è avvezza al coiffeur settimanale, ma solo a quello periodico, quello dell'oddio-che-ricrescita, oppure del è-ora-che-sistemi-questo-taglio!
E oggi era uno di quei giorni, o forse di tutti e due.
E, si sa, l'appuntamento al "salone" (chissà poi perchè il negozio del parrucchiere si chiama "salone"...quello del mio è più piccolo del soggiorno di casa mia!) serve, oltre che per una risistemata alla testa (solo quella di fuori, però!) anche per una vera e propria full immersion nel pettegolezzo più sfrenato.
Andare dal parrucchiere, così, è quasi come andare nella redazione dell'Ansa... si riesce a sapere tutto di tutti, una specie di gossip nostrano che trasforma la vicina di casa nella Belen della situazione e, nel giro di una tinta, o di uno shampoo vieni a conoscenza dell'imminente matrimonio di Tizia, o della fine del matrimonio di Caio, oppure del fatto che Sempronia ha saputo del pluritradimento del consorte sbirciando casualmente sul cellulare che il fedifrago ha lasciato sbadatamente sul comodino (ma pensa tu!!).
E giù una disquisizione su come l'amato/odiato telefonino sia stato la rovina di tante famiglie (ma non sarebbe meglio dire che la rovina delle famiglia sono certi mariti, o certe mogli?).
Stanca (per ovvi motivi!) del gossip ciarliero delle mie compagne di coiffeur, apro a caso un giornale e ti trovo una risposta ad una lettrice che, proprio a proposito delle rivelazioni a dir poco inopportune, di alcuni cellulari, recita più o meno così: "C'è un piccolo boia che si tiene in borsa, o in tasca, una ghigliottina tascabile che non lascia schizzi di sangue, ma che ugualmente taglia in due. Da qualche anno il cellulare serve a giustiziare la persona che il giorno prima (o anche un minuto prima) si diceva di amare. Una sofisticata bomba a vigliaccheria che esplode in silenzio. Basta digitare e la tua testa (e il tuo cuore) cade giù e capirai di aver fatto sempre l'amore da solo".
Intanto è arrivato l'ultimo colpo di spazzola, l'ultima ventata di phon... uno sguardo allo specchio prima di un leggero puff di lacca e voilà, la messa in piega è finita...
Esci dal "salone" ma ... che distratta... ti accorgi di avere sottobraccio il giornale con "quella" risposta!
...E già, qualche volta il parrucchiere ti sistema di fuori, ma ti sconquassa di dentro!

mercoledì 6 aprile 2011

Vuoto a perdere



Mi ricordo quando, da piccolina, la mia mamma mi mandava al negozio di alimentari con la lista della spesa in una mano e le monete nell'altra.
Ero tutta emozionata perché facevo una cosa “da grande”… Tra le cose che dovevo prendere, c’era spesso una bottiglia di latte, di quelle che il negoziante mi diceva ricordati-che-devi-riportare-la-bottiglia…
Non ne conoscevo ancora il significato, ma quella era una bottiglia vuoto-a-rendere, che bisognava stare attenti a non romperla perché se non la riportavi te la facevano pagare la bellezza di 50 lire…
Un po’ dopo, io già più grande, si cominciò a parlare di vuoto-a-perdere… e cioè che non si doveva più riportare la bottiglia indietro…
Il “vuoto a perdere”, lo dice anche la parola, si può anche perdere, si può rompere, si può dimenticare in cantina, tanto nessuno lo chiederà mai di ritorno.
E allora succede un giorno, in cui cominci a sentirti anche tu un po’ “vuoto a perdere”: vali fino a che contieni qualcosa, qualcosa a cui qualcuno può attingere, e poi non servi più, perché c’è già, da qualche parte, una bottiglia nuova, piena, pronta per essere usata.
Così, come dice la canzone, piano piano diventi “altro da te stessa”... certo, continui a “girare ancora per strada”, continui “a fare la spesa”, ma non ti fermi a cercare “qualche cosa di più”, perché qualsiasi cosa tu trovi, poi ti “tocca di pagarla”, e pagarla cara.
Fossi stata un’altra, fossi stata più attenta - come quando da bambina, portavo la bottiglia del latte senza farla cadere - avrei potuto dosarmi a piccoli sorsi, senza svuotarmi troppo in fretta…
Fosse stato un altro tempo, fosse stato il tempo dei vuoti-a-rendere, quanto meno, prima di essere buttata via, avrei potuto recuperare le 50 lire di cauzione…

"...sono altro da me stessa, sono un vuoto a perdere... sono diventata questa, senza neanche accorgermene..."